Durante la recente Fiera internazionale dell’Acqua ACCADUEO è stato presentato da parte del Cresme un interessante studio sul sistema idrico
Fonte : http://www.accadueo.com/accadueo/rapporto-accadueo-by-cresme/8906.html
Lo studio è frutto della collaborazione tra CRESME e H2O e cerca di analizzare lo stato dell’acqua nel nostro Paese, visto dal lato delle rete acquedottistiche, di fognatura e di depurazione. Si tratta di una prima analisi che cerca di affrontare, mettendoli in fila, problemi, priorità e soprattutto forme di intervento e di finanziamento. Lo studio, si confronta con un bisogno di qualità emergente e con la ricerca del difficile equilibrio tra servizio e costi.
Di seguito se ne presenta la sintesi, presentandola in due parti.
Prima parte:
“Secondo le statistiche disponibili l’Italia è il secondo paese in Europa (dopo la Spagna) in termini di superficie irrigata e, come è noto, il settore che consuma più acqua è quello agricolo: l’agricoltura ha prelevato 17 miliardi di mc d’acqua e ne ha consumati 14,5 miliardi, perdendo 2,5amiliardi di mc di acqua. Nello stesso anno il settore civile ha prelevato 9 miliardi di mc di acqua, di cui 8,3 miliardi di mc sono arrivati alle reti comunali mentre nelle nostre case ne sono arrivati solo 4,9 miliardi. Nel tragitto sono stati persi 4,1 miliardi di mc di acqua e nella sola rete di distribuzione la quota di perdite idriche totali ha raggiunto il 41,4% (nel 2012 arrivava al 37,4%)1. “
http://www.accadueo.com/media/h2o/press/2018/17ott/Rappporto_H2O_by_Cresme%20(Sintesi).pdf (per approfondimenti di grafici)
“Il dato risulta ancora più critico se inserito in un contesto di scarsità idrica che prima riguardava solo alcune regioni della penisola ma che nel 2017 ha interessato territori sempre più ampi rendendo visibili agli occhi degli italiani gli effetti del cambiamento climatico e le conseguenze di una forte carenza di risorse idriche. A giugno del 2017 il Po era 2,6 metri sotto il livello idrometrico (i danni all’agricoltura sono stati enormi) e il 10% delle famiglie italiane ha risentito dell’irregolarità del servizio di erogazione, più del 70% delle famiglie coinvolte (2,6 milioni) vivono in Calabria e in Sicilia, questo è quanto emerge dal quadro di sintesi tracciato da ISTAT in occasione della giornata mondiale dell’acqua (22 marzo 2018).
Certo nel 2018 lo scenario è cambiato, ma le perdite restano le stesse e il problema non è certo risolto.
La condizione degli impianti di depurazione delle acque reflue è addirittura più critica ed è costata all’Italia una sanzione di 25 milioni di euro oltre 30 milioni di euro per ciascun semestre di ritardo (il primo termina il 31 novembre 2018) fino alla completa messa a norma dei 74 agglomerati che risultano ancora difformi alla direttiva 91/271/CEE, la maggior parte dei quali è localizzato in Sicilia. Ma in Italia sono molti di più gli agglomerati che non rispettano la direttiva, la difformità interessa ancora 24 agglomerati che hanno già subito una condanna e 758 per i quali è stata avviata una procedura di infrazione. La direttiva stabiliva che tutti gli “agglomerati urbani”, vale a dire aree in cui la popolazione e/o le attività economiche sono concentrate e rendono possibile la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un impianto di trattamento, dovevano essere provvisti (entro precise scadenze) di rete fognaria per convogliare i reflui ad impianti di trattamento con requisiti tecnici adeguati alla dimensione dell’utenza e alla sensibilità dei recapiti finali.
Nel 2015 sono stati censiti 342 comuni ancora privi del servizio di depurazione delle acque reflue.
Per evitare di ricevere ulteriori sanzioni l’unica soluzione è investire nella depurazione come è già stato fatto nel 2012 quando, con delibera CIPE 60/2012, sono stati finanziati 183 interventi per il collettamento e la depurazione delle acque reflue nel sud e nelle isole, per un importo totale di 1,6 miliardi di euro. Infatti dalla lettura degli investimenti realizzati in infrastrutture idriche, da un campione di 53 gestori che erogano il servizio a oltre il 60% della popolazione, nell’annualità 2012 l’importo proveniente da fondi pubblici e contributi è di circa 1/3 superiore alle altre annualità del periodo 2007- 2015.”
Uno specifico e fondamentale approfondimento è stato analizzato su fronte degli investimenti:
“Fondamentale in proposito è la questione degli investimenti” scrive il Cresme.
“Se si considera l’intero comparto idrico che eroga il servizio alla totalità della popolazione, negli ultimi anni (2007 2015) in Italia, sono stati investiti in media 1,9 miliardi di euro l’anno, di cui circa il 22% da fondi pubblici e il 78% da tariffa. Gli investimenti programmati per il quadriennio 2016-2019, secondo un campione di 130 gestori che erogano il servizio al 77% della popolazione, ammontano a circa 2,5 miliardi di euro l’anno, quindi se si considera l’intero comparto idrico che eroga il servizio alla totalità della popolazione si potrebbe salire ottimisticamente, come potenziale massimo di investimento, a 3,2 miliardi di euro l’anno (di cui il 29% è destinato alla depurazione, il 25% alla fognatura, il 19% alla distribuzione, il 13% a potabilizzazione e approvvigionamento e il restante 14% ad altro).
Va detto però che sarà difficile raggiungere quella cifra. Nelle regioni in cui ancora non è stata del tutto attuata la riforma della governance del Servizio Idrico Integrato (Sicilia, Calabria, Campania e Molise) la gestione risulta ancora molto frammentata – al 31 dicembre 2017 operano circa 1.300 piccole gestioni comunali su un totale nazionale di 2.100 gestori – e si traduce in una ridotta capacità di investimento e di programmazione2. Va segnalato che la politica di coesione per il periodo di programmazione 2014-2020 destina 4,46 miliardi di euro (provenienti da Fondi SIE, FESR, FSC e Fondo di rotazione) agli interventi nel settore idrico localizzati quasi esclusivamente nelle regioni del Mezzogiorno. La realizzazione di questi investimenti è però un problema.
La principale fonte di finanziamento degli investimenti nel settore idrico proviene dalle tariffe che al 2016 continuano a essere fra le più basse d’Europa3 nonostante dal 2007 al 2015 si sia registrato un aumento medio del 62% nei comuni capoluogo di provincia. Una tariffa idrica più alta non è però sinonimo di maggior qualità, il comune di Frosinone ha alzato la tariffa del 116% dal 2007 al 2015 ma il livello di perdite rimane il più alto fra i capoluoghi di provincia (73,5% nel 2012 e 78,5% nel 2016), contrariamente, il comune di Milano mantiene una tariffa molto bassa e un livello di qualità della rete di distribuzione molto alto (16,2% di perdite idriche totali nel 2016). Vanta inoltre un impianto che depura le acque reflue e fornisce 150 milioni di mc di acqua (più di quanto riutilizzato complessivamente da Francia, Grecia e Portogallo) conforme ai rigidi dettami del D.M. 185/2003 alle aziende agricole a sud della città.
Del resto sono diversi i gestori che puntano sulle tecniche di moderna manutenzione e sulle tecnologie innovative per migliorare l’efficienza del servizio e che sono in grado di dimostrare che è possibile intervenire ottenendo risultati concreti: CAFC ha ridotto le perdite idriche dal 28% al 19% utilizzando strumentazione elettroacustica (noise logger) per individuare le perdite; IRETI attraverso la distrettualizzazione e la regolazione di pressione è riuscita a recuperare 1 milione di mc di acqua in 10 mesi; HydroGea e Pavia Acque hanno investito sul telecontrollo per facilitare il monitoraggio dell’acquedotto e gestire i parametri di pressione in funzione della richiesta; Secam interviene sulla riduzione delle perdite mettendo in relazione i dati rilevati dal telecontrollo con quelli rilevati dai contatori elettronici; Hera ha sperimentato metodi innovativi per la ricerca di perdite (ricerca satellitare, rilievi acustici, smart ball,.) e sta sviluppando un modello di gestione sostenibile basato sui fondamenti dell’economia circolare (tutela dei corpi idrici, riuso delle acque reflue depurate a fini agricoli, utilizzo di plastica riciclata per le nuove condotte fognarie). Sono alcuni dei casi decritti in questo lavoro che testimoniano che si può fare una buona gestione dell’acqua.”
“L’acqua è sempre più importante, ma la sua gestione nel complesso del paese peggiora.
I dati complessivi, pur considerando alcuni elementi di prudenza nel loro utilizzo, descrivono una situazione che innegabilmente, nel complesso non migliora, ma peggiora e in ampie parti del Paese è addirittura fortemente critica. Certo se dovessimo fissare alcuni punti dai quali partire potemmo dire innanzitutto che ci sono “eccezionali differenze” tra alcuni territori e altri e ci si chiede se questo è giustificato: i migliori gestori in Italia riescono a limitare le perdite idriche totali nelle reti dei comuni capoluogo di Provincia entro l’11% mentre i peggiori si attestano sul 73%. Differenze non accettabili. Un secondo aspetto da evidenziare è il peggioramento e non il miglioramento del servizio: sempre usando come indicatore la dispersione dell’acqua, i dati ci dicono che tra il 2012 e il 2016 le cose sono peggiorate: i capoluoghi di provincia sono arrivati a disperdere, complessivamente, 1 miliardo di mc di acqua (il 39,1% dell’acqua immessa in rete), nel 2012 ne disperdevano 950 milioni di mc (il 35,6% dell’acqua immessa). Il dato sulle dispersioni, come è stato descritto nelle pagine precedenti, non è certo scevro di difetti, ma se il dato è debole lo è in entrambi i casi, così appare corretto sostenere che, nella media italiana, invece di migliorare il servizio peggiora. Del resto, ed è un terzo punto da affrontare, è vero che l’acqua i Italia costa meno che in altri Paesi europei, ma è anche vero che le tariffe sono cresciute e la qualità del servizio è peggiorata. Inoltre come già accennato spesso non c’è coerenza tra aumento delle tariffe e qualità del servizio.Altro aspetto che andrebbe meglio compreso e monitorato è il fatto che una infrastruttura vecchia, obsoleta e poco sostituita produce inevitabilmente cattiva gestione.”
Entrando nel merito dei dati lo studio del Cresme rileva infatti che:
“La rete idrica italiana ha un grave problema di età. Se prendiamo ad esempio la rete acquedottistica, pari a 337.4534 km, vediamo che ben 74.240 di questi km hanno più di 50 anni; e che altri 121.483 km hanno tra i 30 e i 50 anni; si tratta, senza ombra di dubbio, di una infrastruttura vecchia. Tocchiamo così con mano uno dei grandi problemi del nostro Paese: l’importante storia dei cicli di investimento del passato e la debole risposta attuale, soprattutto quella data negli ultimi 15 anni, in termini di manutenzioni, sostituzioni, innovazioni. Le cose peraltro si sanno: nell’ambito dell’indagine condotta da AEEGSI/ARERA nel 2016 su un importante numero di gestori, è emerso che il timing delle sostituzioni risulta essere pari allo 0,42% all’anno, mentre il timing coerente con una vita utile tecnica di 50 anni dovrebbe essere del 2%. Tradotto in km vorrebbe dire che oggi si sostituiscono 1.417 km di rete all’anno, mentre dovremmo sostituirne 6.750. Così con un esercizio teorico, se dovessimo sostituire tutti i 74.240 km di rete che hanno più di 50 anni con l’indice attuale, ci impiegheremmo 52 anni; se il tasso di sostituzione fosse del 2% ne basterebbero 11. Ma fra 52 anni tutta la restante infrastruttura avrebbe di gran lunga superato i 50 anni e una buona parte di questa si avvierebbe ad avere 100 anni. La questione è seria e le revisioni non possono che essere preoccupanti. La rete acquedottistica nazionale è vetusta e l’indice di sostituzione è insostenibile.
Il quadro che si è delineato dall’analisi svolta è di un Italia che perde sempre più acqua, che fatica a depurare le acque reflue e che non sa dove reperire le risorse necessarie per effettuare i dovuti investimenti nell’infrastruttura idrica. La tariffa rimane tra le più basse d’Europa, ma è in crescita, il che innesca un duplice meccanismo: i gestori non hanno la possibilità economica di investire nella manutenzione e nell’ammodernamento dell’infrastruttura e la maggior parte delle famiglie italiane dà poco valore all’acqua corrente e tende a sprecarla mentre invece è attenta a risparmiare su altro (elettricità, ecc.). E’ anche vero che all’aumento delle tariffe negli ultimi anni non è corrisposto un miglioramento delle performance, ma un suo peggioramento. E che vi sono situazioni in cui l’acqua costa meno e la rete è gestita con più efficienza.”
Concludendo:
“L’acqua, come altre risorse naturali, non è infinita. In Italia la risorsa idrica rinnovabile disponibile è di 182,5 miliardi di mc5 e nel 2012 ISTAT stima un prelievo complessivo di 34,2 miliardi di mc. Il rapporto tra acqua prelevata e risorsa idrica rinnovabile disponibile indica il livello di stress idrico (indice WEI+) che nel 2012 è stato del 18,7% (oltre il 20% è stress idrico). il Paese è alle soglie di una condizione di stress idrico e l’infrastruttura presenta tassi di obsolescenza pesanti e di sostituzione debolissimi. In questo contesto di crisi idrica, divenuta evidente a seguito dei fenomeni metereologici intensi derivanti dal cambiamento climatico (periodi di siccità, piogge intense, scioglimento dei ghiacciai, ecc.) bisogna fare una scelta, prendere una decisione (“crisi” dal greco krísis “scelta, decisione”).
A questo punto è necessario cambiare paradigma in termini di risorse naturali non infinite e, come descritto nel documento “WssTP Vision: towards a future proof model for a European water smart society” (2016), della piattaforma tecnologica europea per la fornitura di servizi idrico – fognari WssTP (Water Supply and Sanitation Technology Platform), occorre:
- Investire, puntando sull’innovazione tecnologica, promuovere la collaborazione tra stakeholders e coinvolgere cittadini, autorità pubbliche, industrie e agricoltori;
- Adeguare l’infrastruttura idrica ai cambiamenti climatici;
- Sviluppare soluzioni e tecnologie per un trattamento più efficiente ed economico dell’acqua;
- Creare una rete di sensori e sistemi di misurazione per una gestione idrica avanzata; implementare tecnologie capaci di rendere disponibili le acque marine o salmastre;
- Creare nuovi schemi di tariffazione basati su una combinazione di recupero costi (compresa l’internalizzazione dei costi ambientali), diversificazione prezzi per settori/utenti in base al principio “chi inquina paga” e incentivi per l’uso razionale dell’acqua;
Ridisegnare le reti idriche secondo l’approccio multi ciclo per trasportare differenti tipologie di acqua (di falda, di superficie, piovana, salmastra, marina, grigia, nera o riutilizzata) a seconda
del livello di sicurezza richiesto per ciascun uso;
integrare la componente idrica nella pianificazione a lungo termine delle città europee focalizzata sulla resilienza.”
L’innovazione tecnologica potrebbe dare la spinta necessaria a trasformare la crisi in opportunità ma dovrebbe essere realmente funzionale alla soluzione di problemi pratici, all'ottimizzazione delle procedure, alla scelta di strategie operative per raggiungere un determinato obiettivo. In sostanza dovrebbe essere inserita in un contesto di piena consapevolezza del valore dell’acqua e delle problematiche legate ad essa. Dal mondo e dall’Europa ci dicono di muoverci in questa direzione, di pianificare e programmare interventi strategici sull’infrastruttura idrica in un’ottica di risparmio della risorsa, di riuso e di resilienza. I consigli, le indicazioni le linee strategiche non mancano. Come il sistema dell’acqua del nostro Paese sarà in grado di seguire queste sfide e affrontare i nodi critici che lo caratterizzano resta la grande questione da risolvere; e se da un lato esempi virtuosi fanno capire che la sfida si potrebbe vincere, i numeri d’insieme fanno temere per un futuro sempre più difficile. Di certo, come per altri aspetti si esaspereranno gli squilibri tra territori in grado di vincere le sfide e territori che sempre più perderanno terreno. Troppe Italie diverse.”
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